I campioni a Glasgow, per una due giorni di Diamond League
che ha anticipato gli imminenti Commonwealth Games, di scena tra qualche
settimana proprio nella città scozzese. L’atletica mondiale ha scritto storie
interessanti anche in quest’occasione, pur rinunciando al grande pubblico ed a
qualche presenza di prestigio. Lo stadio di Glasgow non ha offerto un colpo
d’occhio sugli spalti come quello di Parigi una settimana fa, eppure gli eventi
hanno dato conferma che di atletica da queste parti ne capiscono e la coltivano
forse anche meglio che in Francia. Ecco, al di là delle gesta dei numeri uno,
dall’accoppiata vincente nello sprint dell’inarrestabile olandesona Schippers fino all’uscita di gara per infortunio sui 100
di un desolante Yohan Blake, come si fa a non rimarcare quanto accaduto nella
gara dei 1500 metri maschili che, se vista con occhi tutti “british”, la dice
tutta sulle capacità organizzative di una nazione, o se vogliamo di una
federazione, che sa pianificare con cognizione di causa il proprio futuro.
Il miglio metrico, una grande tradizione nel mondo
anglosassone, campo di battaglia che nella storia ha visto trionfare generali
eccelsi, tra i quali ad esempio Sebastian Coe, Steve Ovett e Steve Cram. Nomi
importanti e vincenti, appartenenti ai fasti di un passato purtroppo non più così
vicino. Il mezzofondo britannico ha bisogno di nuovi interpreti, così dall’ambizioso
progetto partito con le Olimpiadi di Londra, da quelle parti stanno cercando di
lanciare nomi nuovi per il futuro, attraverso azioni mirate, pensate,
preparate. Come sui 1500 metri previsti nella due giorni di Glasgow appunto,
dove figuravano pochi nomi altisonanti come i keniani Silas Kiplagat e Nixon
Chepseba, il marocchino Iguider e lo statunitense Manzano, poi alle loro spalle
un gruppetto di avversari al passo degli uomini di casa, i carneadi Chris
O’Hare, Jake Wightman, Charlie Grice, e Thomas Farrell, tutti a caccia di un
buon riscontro cronometrico.
La vittoria alla fine se la sono giocata i migliori, come
prevedibile, con Kiplagat al successo in 3:32.84 su Iguider, ma ciò che più ha esaltato
il pubblico è stato il comportamento dei propri beniamini: O’Hare e Wightman per
un quinto e sesto posto a ritmo di primato, con 3:35 e spiccioli per entrambi,
Grice sotto i 3:36, e lo stesso Farrell a migliorarsi, chiudendo ultimo in
3:37.90. Quattro britannici e quattro primati personali in una competizione di
Diamond League, sarà un caso ma sembra proprio che la premura nel preparare una
gara tirata a loro misura abbia funzionato alla perfezione. Per i leoni
britannici non finisce qui, perché nella due giorni di gare scozzesi, i primati
personali degli atleti “Union Jack” sono arrivati in quantità, a cominciare
dall’ottimo Matthew Hudson-Smith sotto i 45 secondi sui 400 metri e dalla
talentuosa Johnson-Thompson seconda nel lungo ad una manciata di centimetri
dalla statunitense Bartoletta, per proseguire con Alison Leonard (800 metri), Jodie Williams (200 metri), William Sharman (110
ostacoli) e Jonathan Mellor (5000 metri).
Una chiara dimostrazione di come può essere utilizzato un
meeting internazionale di atletica anche nell’ottica di una crescita del
proprio movimento atletico nazionale, fornendo un’occasione importante di
confronto e di miglioramento per quella parte di settore assoluto, composto da
atleti di livello intermedio, pronti a spiccare il salto di qualità, ma che
spesso faticano a trovare gare al proprio livello.
Tanto per fare un paragone comprensibile a tutti,
quest’anno al Golden Gala, nel pomeriggio del meeting, c’è stato spazio per sei
competizioni dedicate alle categorie Master, senza nessun inserimento di
competizioni abbordabili e tirate per quella fetta di assoluti di medio livello
ed in odore di nazionale. Per carità, anche la categoria master è un aspetto
dell’atletica degno di attenzione e di propri spazi, ma nella circostanza non sarebbe
stato più opportuno e proficuo inserire delle gare per chi conserva delle
aspettative di miglioramento e dei sogni in maglia azzurra? Non che i Master
dovessero scomparire dalla serata, ma non sarebbe stato più lungimirante per il
bene della nostra atletica confinarli ad un paio di gare, magari coinvolgendoli
in un ricordo a Pietro Mennea, a vantaggio di qualche buona gara giovane e
tirata per quegli italiani in odore di azzurro che sempre più difficilmente
trovano spazio nelle gare di elite? Diversità di vedute rispetto ai britannici,
ma loro continuano a crescere tanto, noi?
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