Più di 100 gare oltre i 2 metri nel salto in alto, la
carriera di Blanka Vlasic parla soprattutto con questo dato statistico,
mastodontica impresa per una ragazza che vince nel mondo da quel titolo iridato
junior conquistato nel 2000. Da lì è iniziata una carriera fatta da tanti onori
e medaglie, imprese e tentativi di attacco al record mondiale, quel 2.09 finora
indelebile, che la bulgara Stefka Kostadinova superò sotto il cielo mondiale di
Roma. Un obiettivo che la Vlasic per tanto tempo ha sognato di raggiungere,
così come l’oro olimpico, mai raccolto ma solo sfiorato a Pechino nel 2008. Poi
le gioie dell’oro mondiale di Berlino e del titolo europeo a Barcellona, quindi
una terribile spirale di infortuni e ritorni insensati, per colpa di tendini
che non ne volevano proprio sapere di continuare a far volare la regina della
specialità. Eppure la croata ci ha creduto, lavorando su una di quelle qualità
che maschera dinanzi al pubblico, ma che costituisce la sua essenza di
campionessa.
L’umiltà di ripartire da zero, di sopportare fastidi e dolori di
un fisico non più impeccabile, ricostruire con pazienza quello che era riuscita
a mettere insieme in tanti anni di allenamenti ed esperienze in giro per il
mondo. Volontà, determinazione, talento, un condensato di requisiti
indispensabili che hanno riportato Blanka a volare davvero, nello splendido
teatro di Parigi rispondente al nome di “Stade de France”, nel prestigioso
meeting del circuito che lei aveva
conosciuto e dominato con altro nome e formula, e che oggi dispensa
diamanti. Alla fine la gemma più preziosa della serata l’ha regalata proprio la
Vlasic, vincitrice nell’alto saltando oltre i 2 metri, la porta
dell’eccellenza, il ritorno ad una dimensione che la regina non viveva più da
tempo. Le lacrime ed i ringraziamenti al cielo sono l’immagine migliore per
benedire una vittoria speciale, quella della rinascita, nel giorno che l’ha
vista affiancata sulla stessa misura dalla giovane russa Maria Kuchina, il
futuro della specialità.
Campioni che vanno e
che vengono sotto l’ombra della Torre Eiffel, davanti a oltre 40.000
spettatori, gran parte dei quali francesi accorsi ad incitare i propri atleti
in gara contro i migliori al mondo. Come il fenomeno transalpino Bosse, alla
partenza degli 800 metri addirittura indossando la tenuta calcistica della
nazionale francese, per chiudere quarto nella gara vinta con autorevolezza dal
keniano Asbel Kiprop con il mondiale stagionale di 1:43.34. La Francia sorride,
non solo per la vittoria scontata di Renaud Lavillenie nell’asta, ma anche per
il meno prevedibile personale nel lungo di Eloyse Lesueur, prima con un
atterraggio a 6.92. A riscuotere una montagna di applausi c’è poi Sanya
Richards-Ross, tornata ai fasti di un tempo, al limite dei 50 secondi (50.10)
sul giro di pista, mentre sui 110 ostacoli zittisce tutti il giovane giamaicano
Hansle Parchment, una furia tra le barriere per un 12.94 che frantuma il record
nazionale e sbaraglia le ambizioni di successo del ragazzone di casa Pascal
Martinot-Lagarde, comunque ottimo secondo con PB di 13.05. Al femminile la più
veloce è invece Dawn Harper-Nelson, che sfreccia sui 100 ostacoli nel mondiale
stagionale di 12.44, davanti alle connazionali Harrison e Jones, e con l’australiana
Sally Pearson ancora irriconoscibile nelle retrovie.
Di spessore anche il 68.48 con cui la croata Sandra Perkovic
si prende la vittoria ed il record del meeting sulla pedana del disco, un gran
lancio come l’87.10 con cui l’armadio egiziano Ihab Abdelrahman si impone nel
giavellotto. Prestazioni di rilievo arrivano poi dagli africani, con l’etiope
Hiwot Ayalew devastante sui 3000 siepi, grazie ad un 9:11.65 irresistibile
anche per l’ottima statunitense Emma Coburn, seconda con il personale abbassato
a 9:14.12. Quindi sui 5000 maschili ci pensa Edwin Soi a riportare sotto i 13
minuti il mondiale stagionale, tagliando il traguardo in 12:59.82, in una gara
che ha visto sei atleti sotto i 13:05.
La poca Italia presente vestiva i panni di Daniele Greco nel
triplo: il ragazzo ha bisogno di tempo, tante le settimane di preparazione
invernale perse per infortunio, molti i centimetri che ancora mancano per
lottare sui livelli dei propri limiti personali. Così l’ottavo posto con 16.68
dice veramente poco, anche se sufficiente per finire alle spalle di un altro
campione come Will Claye, bloccato ad un modesto 16.79.
Infine i 100 metri: la squalifica per falsa partenza del
giamaicano Nickel Ashmeade e la sua conseguente plateale opposizione, per un
momento riportano alla celebre protesta inscenata da John Drummond ai Mondiali
del 2003 sulla stessa pista. La gara viene poi vinta dallo statunitense Micheal
Rodgers, con il beniamino di casa Christophe Lemaitre solo ottavo con 10.28. L’unica
delusione evidente in una serata di grande spettacolo per i nostri cugini. Da
loro almeno per l’atletica abbiamo ancora tanto da imparare… o no?
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