mercoledì 5 novembre 2014

10 ANNI DI MARATONA, IL DECLINO EUROPEO

Pochi giorni dopo il tradizionale appuntamento con lo spettacolo della maratona di New York, quest’anno condizionata a quanto pare da fastidiose e gelide folate di vento su buona parte del percorso, tengono banco le disamine tecniche sullo svolgimento della gara. I bei duelli di testa, sia al maschile che al femminile, hanno emozionato il numeroso pubblico lungo il tracciato ed i telespettatori davanti alla tv, ennesima conferma di come l’atletica, al di là di super prestazioni e rincorse cronometriche, magari lanciate da sciami di pacemaker, sia comunque fondata sul confronto tra atleti, sullo scontro diretto. Circostanze che fanno riflettere, soprattutto se il paragone si estende all’atletica in pista, ad una Diamond League, ad esempio, che sempre con più difficoltà riesce a mettere uno contro l’altro i numeri uno delle rispettive specialità, nelle tante tappe sparse per il mondo.


Ma stavolta non è questo il punto che vorrei affrontare, quanto un aspetto relativo alla maratona maschile in Europa, emerso nella giornata conclusiva di una stimolante tre giorni di incontri tecnici nell’ambito dell’International Festival of Athletics Coaching (IFAC) a Roma, nello scorso weekend.
Tra i tanti stimati relatori presenti ha concesso infatti un suo contributo anche Malcolm Brown, rinomato tecnico attualmente responsabile della squadra britannica di triathlon, quella, tanto per intenderci, che fece incetta di medaglie alle Olimpiadi di Londra 2012. L’argomento era relativo al ruolo dell’allenatore nella costruzione dei successi dei propri atleti, incentrato naturalmente sulla sua esperienza nel mezzofondo prima e nel triathlon poi, rappresentando con chiarezza i fattori che determinano l’affermazione ad alti livelli di un atleta professionista. Brown aveva introdotto il suo intervento focalizzando sulla penuria di risultati nella maratona europea maschile contemporanea, all’assenza di maratoneti in grado non solo di competere per un podio nelle grandi manifestazioni internazionali, ma neanche di avvicinare in termini cronometrici quanto riuscivano ad ottenere i propri predecessori continentali non troppi anni fa. Eppure le maratone in Europa sono tantissime, in Italia addirittura troppe, capaci di catturare enormi masse di partecipanti, attingendo ad un bacino di praticanti sterminato. Ma allora perché non emergono i campioni? Motivi diversi, forse la poca voglia di provarci in una disciplina sempre più dominata dagli atleti africani, oppure una combinazione di situazioni, difficoltà tecniche, culturali, ambientali che finiscono per limitare o tenere lontani dalla maratona buoni prospetti.
Ma quanto è profonda la crisi della maratona europea maschile? Lo spunto fornito da Brown mi ha incuriosito a tal punto che ho pensato di tirar giù qualche statistica sugli ultimi 10 anni di maratona, ovverosia il periodo che ha visto manifestarsi il calo irrefrenabile dei nostri maratoneti. Ecco i risultati, con tabella e grafici ad illustrare i fatti:



2004-2014, i non africani nei migliori 100 di ogni anno: primo aspetto indagato è stato il numero di atleti “non africani” tra le migliori 100 prestazioni di ogni stagione, dal 2004, anno dell’oro olimpico di Stefano Baldini, alla stagione in corso e virtualmente quasi conclusa. Ebbene da un gruppo di circa 40 unità “non africane” del 2004, ossia il 40% tra le prime 100 prestazioni, si è passati nel 2014 ad appena 6 presenze, vale a dire un calo dell’85% in 10 anni.

2004-2014, maratoneti europei: gli atleti europei compresi nelle migliori 100 prestazioni dell’anno nel 2004 erano 15, di cui oltre la metà costituita da atleti italiani, mentre ad oggi nelle liste mondiali sono presenti solo 2 maratoneti europei. In realtà il calo europeo non si discosta molto da quello evidenziato per le presenze “non africane”, rasentando circa l’87%, segno evidente che l’entità del fenomeno è su scala mondiale.

2004-2014, gli italiani: se il cerchio si stringe ai soli italiani, si nota come nel 2004 dello storico oro olimpico di Stefano Baldini vi siano in totale 8 presenze italiane tra le migliori 100 prestazioni. Oltre a Baldini, che da solo vanta due presenze, vi erano anche Alberico Di Cecco (poi squalificato per doping), Danilo Goffi (2), Ruggero Pertile (2), Migidio Bourifa. Quel plotoncino di prestazioni azzurre si è poi dimezzato l’anno seguente, per ridursi a zero nel 2008, mantenendosi tale sino ad oggi. Quest’anno il miglior italiano è niente meno che il campione europeo di maratona, Daniele Meucci, affermazione di prestigio, sia pur relegata da un punto di vista cronometrico al 190° posto nella graduatoria mondiale. E’ chiaro che per il toscano i margini di miglioramento siano ampi, tenuto conto del suo “fresco” approccio alla maratona, con solo qualche sporadico tentativo in passato, e considerato che pochi giorni prima del suo titolo europeo era stato impegnato anche sui 10.000 metri. Già dalla sua prossima gara quindi Meucci potrebbe avere l’occasione di invertire almeno apparentemente la tendenza italiana di questa particolare statistica.





2004-2014, la forbice di prestazioni: infine ho voluto inquadrare la variazione in termini cronometrici della migliore prestazione mondiale per ogni anno, così come della centesima. Ne deriva che in 10 anni il top del mondo è migliorato costantemente, scendendo da 2h06 fino al primato di quest’anno con 2h02:57. Vale a dire un calo di oltre 3 minuti, con andamento altalenante. Meno sensibile ma più costante il miglioramento valutato sulla centesima prestazione, passata da 2h11:13 a 2h09:07, ossia un paio di minuti, che però nel 2004 sarebbero bastati per tenere fuori 7 delle 8 prestazioni italiane precedentemente evidenziate (sarebbe rimasto dentro solo Baldini con il 2h08:37 di Londra, che al momento sarebbe valso l’85° posto).  Segno che entrare nella cerchia dei migliori oggi è molto più difficile, l’Africa corre forte e se la tendenza resta questa, al di là di qualche sporadico cenno di ripresa, da qui a qualche anno le maratone potrebbero divenire territorio “off limits” per tutti gli altri. A meno che… ma esiste davvero un’alternativa a questo scenario? 


Nessun commento:

Posta un commento