lunedì 14 luglio 2014

I BRITANNICI CRESCONO, E NOI?

I campioni a Glasgow, per una due giorni di Diamond League che ha anticipato gli imminenti Commonwealth Games, di scena tra qualche settimana proprio nella città scozzese. L’atletica mondiale ha scritto storie interessanti anche in quest’occasione, pur rinunciando al grande pubblico ed a qualche presenza di prestigio. Lo stadio di Glasgow non ha offerto un colpo d’occhio sugli spalti come quello di Parigi una settimana fa, eppure gli eventi hanno dato conferma che di atletica da queste parti ne capiscono e la coltivano forse anche meglio che in Francia. Ecco, al di là delle gesta dei numeri uno, dall’accoppiata vincente nello sprint dell’inarrestabile olandesona Schippers  fino all’uscita di gara per infortunio sui 100 di un desolante Yohan Blake, come si fa a non rimarcare quanto accaduto nella gara dei 1500 metri maschili che, se vista con occhi tutti “british”, la dice tutta sulle capacità organizzative di una nazione, o se vogliamo di una federazione, che sa pianificare con cognizione di causa il proprio futuro.


Il miglio metrico, una grande tradizione nel mondo anglosassone, campo di battaglia che nella storia ha visto trionfare generali eccelsi, tra i quali ad esempio Sebastian Coe, Steve Ovett e Steve Cram. Nomi importanti e vincenti, appartenenti ai fasti di un passato purtroppo non più così vicino. Il mezzofondo britannico ha bisogno di nuovi interpreti, così dall’ambizioso progetto partito con le Olimpiadi di Londra, da quelle parti stanno cercando di lanciare nomi nuovi per il futuro, attraverso azioni mirate, pensate, preparate. Come sui 1500 metri previsti nella due giorni di Glasgow appunto, dove figuravano pochi nomi altisonanti come i keniani Silas Kiplagat e Nixon Chepseba, il marocchino Iguider e lo statunitense Manzano, poi alle loro spalle un gruppetto di avversari al passo degli uomini di casa, i carneadi Chris O’Hare, Jake Wightman, Charlie Grice, e Thomas Farrell, tutti a caccia di un buon riscontro cronometrico.

La vittoria alla fine se la sono giocata i migliori, come prevedibile, con Kiplagat al successo in 3:32.84 su Iguider, ma ciò che più ha esaltato il pubblico è stato il comportamento dei propri beniamini: O’Hare e Wightman per un quinto e sesto posto a ritmo di primato, con 3:35 e spiccioli per entrambi, Grice sotto i 3:36, e lo stesso Farrell a migliorarsi, chiudendo ultimo in 3:37.90. Quattro britannici e quattro primati personali in una competizione di Diamond League, sarà un caso ma sembra proprio che la premura nel preparare una gara tirata a loro misura abbia funzionato alla perfezione. Per i leoni britannici non finisce qui, perché nella due giorni di gare scozzesi, i primati personali degli atleti “Union Jack” sono arrivati in quantità, a cominciare dall’ottimo Matthew Hudson-Smith sotto i 45 secondi sui 400 metri e dalla talentuosa Johnson-Thompson seconda nel lungo ad una manciata di centimetri dalla statunitense Bartoletta, per proseguire con Alison Leonard (800 metri),  Jodie Williams (200 metri), William Sharman (110 ostacoli) e Jonathan Mellor (5000 metri). 


Una chiara dimostrazione di come può essere utilizzato un meeting internazionale di atletica anche nell’ottica di una crescita del proprio movimento atletico nazionale, fornendo un’occasione importante di confronto e di miglioramento per quella parte di settore assoluto, composto da atleti di livello intermedio, pronti a spiccare il salto di qualità, ma che spesso faticano a trovare gare al proprio livello. 

Tanto per fare un paragone comprensibile a tutti, quest’anno al Golden Gala, nel pomeriggio del meeting, c’è stato spazio per sei competizioni dedicate alle categorie Master, senza nessun inserimento di competizioni abbordabili e tirate per quella fetta di assoluti di medio livello ed in odore di nazionale. Per carità, anche la categoria master è un aspetto dell’atletica degno di attenzione e di propri spazi, ma nella circostanza non sarebbe stato più opportuno e proficuo inserire delle gare per chi conserva delle aspettative di miglioramento e dei sogni in maglia azzurra? Non che i Master dovessero scomparire dalla serata, ma non sarebbe stato più lungimirante per il bene della nostra atletica confinarli ad un paio di gare, magari coinvolgendoli in un ricordo a Pietro Mennea, a vantaggio di qualche buona gara giovane e tirata per quegli italiani in odore di azzurro che sempre più difficilmente trovano spazio nelle gare di elite? Diversità di vedute rispetto ai britannici, ma loro continuano a crescere tanto, noi? 

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