La domanda è ironica, a sottolineare quell’irritante
sensazione di aver visto per l’ennesima volta uno spettacolo a metà, nascosto,
o meglio, ignorato dalla solita indefinita “regia televisiva internazionale”. Che
i registi siano poco competenti di atletica ci può anche stare, ma che si arrivi
addirittura al masochismo dissolvendo la gara più qualificata dell’intera
rassegna mondiale polacca, beh, questo è
proprio un record.
Così è tornata puntuale quella tipica frustrazione di molti
appassionati, quelli veri, inermi davanti al televisore a sorbirsi dirette
televisive con l’audio anticipato di circa due secondi rispetto al segnale video
(sono almeno tre anni in Rai che viene riproposto il problema tecnico, bel
record anche questo), a rincorrere salti e lanci passando da un canale all’altro,
senza però raggiungere mai lo scopo, e per di più con la beffa di sentirseli
sciorinati in radiocronaca dal telecronista. Eh sì, perché come avviene in
Diamond League, i concorsi sono roba da serie B rispetto alle gare di corsa,
meritevoli al massimo di una sintesi delle tre prestazioni da podio, e magari
di qualche comprimario mostrato per riempire per puro caso un momento morto.
Così con il trascorrere delle tre giornate in diretta da Sopot la rabbia è gradualmente
cresciuta, ed in occasione della gara di alto maschile nel pomeriggio dell’ultima
giornata ha toccato l’apice, più alta anche di un salto di Barshim.
A questo punto viene da chiedersi chi abbia deciso di
stravolgere così l’atletica in tv, imponendo uno spettacolo dimezzato,
costituito da gare di corsa, da lunghe presentazioni, premiazioni, inquadrature
del pubblico e qualche sprazzo di salti e lanci. Possibile che oggi questo sia
l’unico modo per presentare in televisione, negli anni Duemila, la regina degli
sport? Possibile che nessuno si sia mai interrogato se sia meglio dar
precedenza a priori alle gare di corsa rispetto ai concorsi, o se sia più
opportuno fare una disamina critica sullo svolgersi degli eventi? Certo, una
giustificazione può essere la necessità di dover lavorare in tempi sempre più stretti,
con programmi orari ridotti al minimo pur di garantire coperture televisive
brevi che rendano lo spettacolo appetibile per il telespettatore medio. Il
rischio però è che si verifichi esattamente il contrario, perché ad una
scorpacciata di gare di corsa è forse più opportuno preferire un’offerta più
varia, con le gare di salti e lanci in evidenza tanto quanto quelle di corsa. Altrimenti
ne esce fuori un surrogato che rischia in talune occasioni di far perdere i
momenti più importanti di un’intera rassegna, come accaduto quest’oggi nella
diretta polacca, quando nelle fasi decisive della gara di alto maschile si è
preferito tergiversare sulle lungaggini della partenza della 4x400 femminile,
con tanto di giudice impalato ad osservare un’atleta giamaicana mentre
posizionava i blocchi.
Ecco, forse è il caso di rivedere il modo con cui viene
proposta l’atletica in televisione, nell’interesse dello sport stesso, dei suoi
stessi protagonisti e del pubblico a casa. Una soluzione? Personalmente un
giorno mi piacerebbe vedere l’atletica trattata come la Formula 1 su Sky,
ovvero “mosaico tv” con il controllo autonomo del telespettatore sulla scelta
delle gare da vedere o preferire. Ricordatevi di me quando un giorno ci si
arriverà.
Terminato lo sfogo, più che mai giustificato in questa
circostanza, passiamo a quanto avvenuto in pista nell’ultima giornata dei
Mondiali indoor 2014. L’interesse italiano era limitato a due soli atleti, peraltro
finalisti, Margherita Magnani sui 3000 metri, e Marco Fassinotti nell’alto. La
romagnola ha onorato l’impegno prendendo anche la posizione di testa nelle
battute iniziali, ma più di quello era difficile chiedere. Le avversarie erano
di un altro livello, su tutte l’inarrivabile Genzebe Dibaba, più di una spanna
sopra tutte. Quando l’etiope ha deciso di lasciare le retrovie la gara ha preso
un’altra piega, con un cambio di ritmo insostenibile per la Magnani così come
per molte delle altre in gara, ad eccezione della keniana Obiri e di una delle
regine del mezzofondo degli ultimi anni, Maryam Yusuf Jamal.
Nell’alto Marco Fassinotti era chiamato ad un’impresa per
avvicinare quanto meno il podio. Purtroppo per il piemontese non è andata al
meglio, con una serie pulita di tre salti fino a 2.29, che però non ha avuto
seguito a quota 2.32, con tre prove sbagliate ed un sesto posto conclusivo. Partecipazione
tutto sommato positiva per il saltatore azzurro, che può ammorbidire il
rammarico dell’uscita anticipata dalla finale, e di una gara al di sotto delle
aspettative, con la consolazione che sarebbe servito un 2.36 per salire sul
podio, vale a dire un nuovo record italiano 2 cm oltre il suo recente 2.34. In
effetti gli alieni in pedana non si sono fatti attendere, a cominciare dall’ucraino
Andriy Protsenko, terzo proprio con il personale di 2.36 ottenuto al primo
tentativo.
Il resto lo hanno fatto Ivan Ukhov e la cavalletta del Qatar, Mutaz
Essa Barshim. Il russo partiva con i favori del pronostico, dall’alto dei suoi
2.42 saltati in stagione, ma Barshim alla fine ha dimostrato una condizione di
forma migliore. Una striscia di sette salti buoni per toccare quota 2.38,
stessa misura che Ukhov supera al terzo tentativo. Errori pesantissimi che lasciano
il russo al secondo posto, con Barshim ad uno storico oro mondiale.
Shelly Ann Fraser-Pryce come Re Mida, ormai trasforma tutto
in oro. Anche sui 60 metri la piccoletta giamaicana ha fatto quello che di
solito fa sotto le stelle, ossia vincere a mani basse dopo quella
caratteristica accelerazione iniziale che la spara via, imprendibile, verso il
traguardo. 6.98 per divenire campionessa mondiale indoor, abbattere il proprio
personale ed avvicinarsi a soli due centesimi dal record nazionale targato
Merlene Ottey. Niente da fare per la graziosa Murielle Ahoure, seconda in 7.01
e per la statunitense Tianna Bartoletta, un tempo Madison e saltatrice.
Sventola la bandiera americana grazie a Omo Osaghae, ostacolista
con nome e aspetto da personaggio dei fumetti. Lui ce la mette tutta per volare
tra le barriere, in finale copre i 60 in 7.45, un centesimo meglio di quel
pasticcione francese di Martinot-Lagarde, accompagnato sul podio dal
connazionale Garfield Darien, due promesse importanti per l’ostacolismo
continentale.
Un altro oro a stelle e strisce è per la brava Chanelle
Price negli 800, vinti in 2:00.09, mentre sui 3000 metri il connazionale
Bernard Lagat, nato nel lontano 1974, si toglie la soddisfazione di aggiungere
un bell’argento ad una bacheca già zeppa di trofei. La vittoria va invece al
keniano Ndiku, ennesimo nome alla ribalta di un’Africa che applaude anche il successo
di prepotenza da parte dell’etiope Mohammed Aman. Al secondo posto l’uomo di
casa Kszczot accende l’entusiasmo del pubblico, terzo inizialmente è l’altro
polacco Lewandowski, poi squalificato per invasione di corsia a vantaggio del
britannico Osagie.
Gara di equilibrio è l’asta femminile, che porta tre atlete
a 4.70, con la cubana Yarisley Silva a strappare l’oro sull’accoppiata d’argento, composta dalla
russa Sidorova e dalla ceca Svobodova. Nel triplo maschile il salto migliore lo
piazza Lyukman Adams, russo dalle origini nigeriane, capace di atterrare a
17.37, miglior misura dell’anno, migliore anche del 17.33 con cui fino a quel
momento il cubano Ernesto Revè guidava la competizione, prima di esser messo
fuori gioco da un infortunio. Fortuna sua che il connazionale Pichardo si fermi
a 17.24, per un terzo posto conclusivo. E’ mancato l’acuto nella gara di lungo
femminile, vinta dalla transalpina Lesueur, sulla giovane britannica
Johnson-Thompson, seconda con 6.81 e da seguire in futuro, e la serba Spanovic, terza con 6.77.
Dulcis in fundo un record mondiale grazie agli uomini della
4x400 americana, nel dettaglio Kyle Clemons, David Verburg, Kind Butler III e
Calvin Smith junior, capaci di dominare la loro prova in 3:02.13, per un oro
che bissa quello della 4x400 americana femminile, prima con 3:24.83 su Giamaica
e Gran Bretagna.
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