Un biglietto da visita che fa rumore, e giustifica
quel certificato rilasciato qualche anno fa dalla IAAF come “Road Race Gold Label”,
incoronando di fatto Roma tra le più importanti maratone mondiali. Roba non da
poco, per una nazione che stenta a trovare ambiti di eccellenza nella
specialità che vide trionfare scalzo Abebe Bikila ai Giochi del 1960, per una
città che conserva tutti i suoi limiti in termini di strutture sportive. Ville suggestive
e parchi cittadini consentono tuttavia la corsetta quotidiana, aiutati da orologi,
gps ed altre diavolerie tecnologiche, capaci di trasformare in circuiti di
corsa i viali sterrati ed i prati di quel polmone verde che si amalgama attorno
ai monumenti della Capitale. Tutto molto bello, perché migliora lo stile di
vita e la salute di migliaia di persone, anche se non va dimenticato lo
scandalo della mega-struttura firmata Calatrava a Tor Vergata: quante piste di
atletica ed altri impianti sportivi sarebbero stati realizzati o restaurati con
il denaro buttato al vento in quel complesso che sembra destinato a rimanere
incompiuto? Una beffa per i cittadini romani e per il popolo dell’atletica, che
neanche un evento di proporzioni mondiali come la maratona può e deve
nascondere.
L’unicità di questa edizione è
legata anche alle condizioni climatiche, mai così estreme come stavolta, sotto
la pioggia, con centinaia di ombrelli a far da contorno a quel fiume umano di
corridori lanciati nel cuore storico ed artistico della Città Eterna. Una
cornice splendida in ogni condizione, merito di un percorso che, al di là dei
ritocchi nel tratto conclusivo, ha saputo toccare sapientemente gli angoli più
spettacolari di una città fatta per esser vissuta, anche di corsa. E pazienza
per il calo tecnico, inevitabile quando mancano i grossi nomi e quando il meteo
si mette contro. Etiopi e keniani hanno fatto man bassa in campo maschile,
domando le strade bagnate, sopportando gli scroscioni improvvisi ed una
temperatura tornata invernale in poche ore. L’etiope Shumi Hailu si è imposto
in 2h09:47, peggior crono dal 2008, per un atleta che comunque ha un personale
poco superiore alle 2h09’. Addirittura esploso uno dei favoriti come il keniano
Jackson Kotut, dieci minuti oltre il proprio personale. Etiopia sugli scudi
anche nella gara femminile, grazie all’azione vincente di Geda Lemma con un
2h34.49, che rappresenta tuttavia il risultato cronometrico peggiore dall’edizione
di esordio del 1995.
Gli italiani più forti alla
partenza rispondevano ai nomi di Mimmo Ricatti ed Emma Quaglia, entrambi attesi
ad una conferma in chiave azzurra. Per Ricatti l’obiettivo era quello di
centrare il minimo per gli Europei, fissato a 2 ore e 15 minuti netti. Purtroppo
il barlettano non è fortunato, giungendo sulla linea di arrivo una manciata di
secondi più tardi, con il personale abbassato a 2h15’07. Dopo il bel
piazzamento mondiale a Mosca della scorsa estate, Emma Quaglia era pronta ad una
gara da protagonista, a caccia di un crono confortante in vista dell’appuntamento
continentale. Ma la ligure stavolta non ha brillato, distante dalle sue
prestazioni, in preda ad una crisi di gambe che non l’ha mai messa in gara e
che le ha solo concesso di coprire l’intero tracciato per il solo orgoglio di concludere
il suo impegno, ben oltre le 2 ore e 43 minuti.
Ancora una vittoria è arrivata invece per Alex Zanardi, inimitabile
esempio di volontà, che copre il percorso in poco più di un’ora a bordo della
sua handbike. Innumerevoli poi le iniziative di solidarietà e di impegno
sociale tra i maratoneti in gara, a cominciare dal gruppo di top runners keniani
radunati sotto il progetto “Purosangue”, per correre contro il doping,
capitanati da Leonard Langat, terzo al traguardo con tanto di elmetto romano
indossato nei metri conclusivi. Da segnalare anche il gruppo di corridori barlettani,
concittadini di Pietro Mennea, ricordato con un bel saluto stampato sulle
maglie, a distanza di un anno dalla scomparsa del grande Campione.
Un record lo mette a segno anche la Rai, che riesce a tenere
il video senza immagini della corsa per gran parte della gara, diciamo oltre 1
ora e mezza. Davvero una bella prestazione nell’anno 2014, per un evento in
mondovisione, diffuso con immagini frammentarie e presentato con inquadrature
fisse su strade deserte e gente a passeggio con l’ombrello. Una lode semmai va
fatta al povero Franco Bragagna che ha tenuto magistralmente la scena,
dirigendo ospiti, commentatori ed inviati. Coadiuvato da Orlando Pizzolato e Laura
Fogli, risparmiati dalla doccia in bici, il Franco nazionale ha dovuto sopperire
a qualcosa di unico, ossia una telecronaca di un evento che non si vede.
Indipendentemente dalle giustificazioni e dagli scarichi di responsabilità, la
Rai è un servizio pubblico per cui siamo obbligati a pagare che non può permettersi
delle figuracce di tali dimensioni, specie in un momento in cui dovrebbe badare
a riconquistare quell’autorevolezza insediata da altre valide emittenti televisive
in ambito sportivo.
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